Tartarre di tette di Venere | Indie Tales

Tartarre di tette di Venere | Indie Tales

Di Stefano Giannetti

«Allora, signorina…»

«Gemina. Il documento che mi avete sequestrato dovrebbe aiutare la memoria.»

«Non ti conviene fare la spiritosa.»

«Ci diamo del tu? Empatia fra donne o fedeltà agli spot sulla cordialità della Polizia Spaziale?»

La giovane sbirra sospira, intreccia le dita sulla scrivania bianca e gelida.

«Sei in custodia cautelare. Se confessi il reato, te la cavi col licenziamento, senza ripercussioni penali.»

Smetto di arrotolarmi le ciocche ricce e castane al dito.

«E ho capito. Però è una sgommata di merda sul curriculum.»

«Che pretendi? Hai rubato la scorta di seni di Venere dal locale dove lavori e l’hai venduta.»

«Dove stanno le prove? E a chi l’avrei venduta?»

«Sospettiamo di Maica Fedna, tua compagna d’università. Secondo alcuni testimoni, sacerdotessa del Nuovo Ordine Vegano. Secondo altri testimoni siete molto intime.»

«Queste vegane mordono la carne che possono.»

Si sporge in avanti sulla sedia. Le punte del suo caschetto biondo ondeggiano.

«Io posso aiutarti. Far ridurre la tua pena. Confessa.»

«Ma se non c’è stato ancora un processo.»

«Appunto. Fammi lavorare. Ti servono soldi? Ho amici studenti. So in che condizioni vivete.»

«Viviamo? O mangio o pago l’affitto, con quanto mi dà il boss al mese nel suo fottuto ristorante su quell’astronave da crociera, e con quello che mi costa il monolocale sul satellite di Onalym. Quei truffatori sarebbero capaci di dare stanze in affitto in un Buco Nero.

Non so manco che significa mangiare di gusto. Compro roba liofilizzata, mi faccio preparare poke e pizza dai distributori automatici. Sono così povera che un giorno potrei friggere la mia cacca. Sarebbe l’unico modo per farmi mangiare cibo non sintetico.»

«Non deviare il discorso. Perché una vegana voleva carne biologica?»

Sbuffo e mi lego i capelli. È una cosa troppo grossa. Devo parlare. Pazienza, mal che vada tornerò sulla Terra a sentire i miei dire “Te l’avevamo detto di restare a lavorare qui e a farti campare da noi, che a studiare nello spazio non duravi un cazzo. Ancora si sopravvive su ‘sta fogna, in fondo.”

«Dovreste saperlo. I vegani vogliono sbarazzarsi di tutte le scorte in circolazione dei seni di Venere, acquistate dai ristoratori prima dell’uscita del decreto che vieta di alimentarsi con carne non sintetica. Perché quelle col lotto di acquisto con data precedente alla legge possono essere ancora cucinate.»

Si porta una mano al mento, poi al collo. Ha una faccia strana, la sua voce diventa più bassa. Oserei dire suadente, forse vogliosa, avida.

«I seni di Venere. Due volte ho potuto mangiare quelle lumache a forma di tette e ancora ne ricordo il sapore. Ci si fanno delle tartare e degli insaccati eccezionali.»

Faccio spallucce.

«Dicono. Mai provata.»

«Sicura?»

«Sì! Volevo solo venderla, te l’ho detto che sono una morta di fame! Quella stronza di Maica mi si è scopata e mi ha convinta a venderle la scorta del locale dove lavoro, che comunque era appena una busta di roba.»

«Le lumache sono comunque morte e congelate. Secondo te che cambia a una dell’Ordine se quelle comprate legalmente vengono mangiate?»

«Vogliono vendicarsi. Gli onnivori sono stati i primi a chiedere e ottenere il divieto di disboscamento della Luyana su Venere 2, che erano fonte di ossigeno e nutrimento per le lumacone. Con le foglie e le canne di quella pianta i vegani ci facevano decine di piatti. Quindi, i vegani mangiavano la Luyana per salvare i seni di Venere dal macello, ma quelle sarebbero morte di stenti tra un po’; i carnivori le lasciavano sopravvivere non toccando la Luyana, per estinguerle dopo con le patate.»

La poliziotta scuote la testa.

«Che schifo. Venere 2 era il vero gemello della Terra, non come il primo che è invivibile. L’Esercito Spaziale ha dispiegato molte forze per tenerlo sorvegliato costantemente e proteggere lumache e piante rimaste.»

«Quella carne fa uscire tutti di testa. I nostri clienti ricchi sbavano e hanno gli occhi annebbiati pure quando ne parlano, mi fanno venire la nausea. Una volta un vecchio ha mangiato così tanta tartare che ha iniziato a stare male. Ma non resisteva, ne voleva sempre di più, era paonazzo. Alla fine ha collassato e l’hanno portato in ospedale.

Comunque, ora ti dico tutto, che voglio sapere come ha fatto quello stronzo del mio capo a puntarmi il dito contro e a mandarmi qui non appena ho montato di turno oggi.

Maica mi disse che se le avessi portato tutta la carne mi avrebbe pagata una cifra con cui mi sarei pagata retta e affitto per un anno. La mia vagina aveva la dignità calpestata ma lo stomaco pure aveva le sue ragioni, perciò ho accettato con due riserve. La prima: avremmo fatto uno scambio di prova. Le avrei portato una lumaca e lei me l’avrebbe pagata. Se questo andava a buon fine, stamattina avrei finito il lavoro. La seconda: finito l’affare doveva scordarsi di me.»

La sbirra incrocia le braccia, impaziente.

«Quindi hai manomesso le telecamere di sorveglianza per entrambi i furti. Del primo lo sto sapendo ora. Il tuo capo non avrà fatto caso alla mancanza di un solo seno.»

Mi massaggio le tempie. Mi prude la faccia.

«Lui non dovrebbe avere la certezza che sono stata io. Questo non capisco.»

«Con ordine. Dopo il primo scambio che è successo?»

«Ci siamo viste sul satellite universitario entrambe le volte. Io avevo il passamontagna, lei no. Stamattina era quasi irriconoscibile. Aveva la faccia piena di bolle e gli occhi rossi. Quando abbiamo visto una navicella monoposto simile a quella del mio boss atterrare vicino a noi, ci siamo dileguate.»

«Il secondo scambio non c’è stato?»

Faccio il gesto dell’ombrello.

«Ma col cazzo! Ci mancava che quella scappava con le tette senza pagarmi.»

Il suo viso si illumina incredulo e mi mostra meglio i suoi occhioni verdi.

«Hai ancora tu i seni?»

«Se non hai mandato qualcuno a ribaltarmi casa, sì.»

Mi si avvicina, sembra speranzosa. Non capisco.

«Gemina, il mandato di perquisizione non l’ho ancora… mandato.»

«Buo-buona questa.»

«Ma tu non prendermi per il culo. L’Ordine Vegano ha tutti gli adepti registrati e Maica non è una di loro.»

Mi viene una fitta al petto.

«No, aspetta. Che? E perché mi avrebbe detto ‘sta cazzata?»

Ora mi molla la mano e fruga nella sua borsa.

«E tu perché fai ancora la gnorri? Hai assaggiato la lumaca.»

Mi mette uno specchietto da trousse davanti. La mia faccia riflessa è rossa e piena di brufoli. Molti meno di quelli di Maica, però.

«Maica mi ha… contagiata?»

«Ma quale contagiata. È l’effetto che fa il seno di Venere dopo qualche ora se a mangiarlo è una donna col ciclo mestruale ancora attivo. E tu non sembri una in menopausa.»

Ecco come ha fatto il capo a scoprirmi. Come ne esco, ora?

«Grazie. Anche tu sei un fiore.»

Batte entrambe le mani sul tavolo.

«Confessa e ti aiuto.»

«L’ho appena fatto. Ho assaggiato quella lumaca, è vero. E Maica dev’essersi pappata il resto, a giudicare dalla sua faccia e dai suoi occhi da drogata. Quella roba fa perdere la testa. Stavo su un altro piano dimensionale quando l’ho mangiata.»

Mi punta l’indice sul naso. I suoi occhi belli ora somigliano a quelli di Maica. Pure io mi sono sentita alterata dopo aver mangiato quella roba. Ha iniziato a girarmi tutto, mi sono spaventata e ho buttato il resto del boccone nel cesso.

La poliziotta prima mi squadra, incredula. Poi scoppia a ridere.

«Non posso crederci che non sai un cazzo. Se l’è scelta proprio bene la polla, quella Maica!»

Mi sento avvampare ancora di più. Ora mi sono rotta.

«Oh, senti! Vai a sfottere le altre guardie stitiche come te! A me non frega un cazzo di andare in prigione, sarà sicuramente più larga e economica del mio monolocale a Onalym! Quanto pernottamento offrite qua per oltraggio a Pubblico Ufficiale?»

Chiudo un occhio e giro la testa di lato perché mi aspetto una manganellata. Invece la matta qua ancora ride.

«Ti devo fare proprio i disegni, eh? Maica s’è guardata bene dal mangiare tutti quei seni, te l’assicuro. Ne avrà assaggiati un po’ più di te e è andata al limite dell’overdose. Farà i peggio soldi chissà dove, se sarà brava a fare tartare. Lei vuole quelle lumache morte almeno quanto i ristoratori e i ricconi che possono sprecarle mangiandole come un pasto e rischiare la vita.»

Strabuzzo gli occhi.

«Capisco i vecchi, ma pure io posso morire se la mangio?»

China la schiena e si abbandona al tavolo con la testa sulle mani. Sbuffa.

«Povera stella, mi spiace pure arrestarti. Non tutti hanno gli stessi obiettivi riguardo i seni di Venere. Diciamo che sono ricercati più per essere assaggiati o… annusati. Avrai sentito nominare da tanti la “tartare”, ma la maggior parte di loro non si riferiva a quella dei ristoranti, anche se il nomignolo sarà nato da lì. Se la ingerisci in purezza rischi che ti frigge.»

«Ecco spiegate le porzioni minime e costosissime di quei piatti gourmet.»

Adesso sì che mi gira la testa, me la tengo con entrambe le mani, artigliandomi i ricci. La voce mi esce spezzata, ma devo dirlo ad alta voce altrimenti non ci credo.

«Maica mi ha ingannata. È una spacciatrice. Voleva una busta intera di tette per tagliarle con altre sostanze. E io ho una montagna di droga nel cassetto dell’armadio, tra i calzini e le mutande.»

La biondina in divisa mi prende le mani, mi penetra gli occhi coi suoi.

«E quindi torniamo a noi. Cestino il mandato, ne esci pulita. E la tua scorta di lumache andiamo a prenderla insieme.»

Perché da mezz’ora sto sentendo un’assurdità dopo l’altra?

«Cosa? Stai scherzando? Mi vuoi incastrare?»

Mi stringe ancora di più le dita.

«Ma sei scema? Per quanto ancora vuoi fare ‘sta vita? Non abbiamo futuro coi tuoi studi, col mio stipendio da fame e coi rischi che corro. Non ti rendi conto che invece di colonizzare lo spazio ci stanno solo portando tutta la merda che avevamo sulla Terra? Ce ne andiamo da qui, come ha fatto Maica.»

Restiamo a fissarci in silenzio. Ha ragione. Ma ha anche la faccia da pazza. Ripenso pure al volto di Maica, e a quello del vecchio ingordo al ristorante. Mi tocco la guancia frastagliata dalle bolle e mi viene da vomitare. Mi alzo. Lei solleva la testa, basita. Le parlo dall’alto in basso.

«Vai pure a casa mia e prenditi tutte le lumache. L’unico favore che ti chiedo è un certificato medico che inventi una giustificazione per i miei brufoli.»

Aggrotta la fronte, non parla più. Aspetta che le spieghi o, meglio, che la rassicuri. Lo faccio.

«Non ti sto prendendo per culo. Il bottino è tuo. Io torno sulla Terra, al mio paese. È pieno di tossici, ma fanno meno paura di voi.»

Racconto liberamente ispirato al brano “Cacca nello spazio” di Caparezza