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Un mazzo fiori del male: “Baudelaire” di Althea | Intervista

Althea – nome che deriva dal greco e significa “colei che cura” – ancora una volta usa la musica per mandare un messaggio di liberazione e trovare un aneddoto tramite la sua “Baudelaire“.

“Baudelaire” è un pezzo complesso, sia musicalmente che semanticamente potremmo dire.

Althea, tramite il suo nuovo singolo, denuncia il bigottismo clericale che ha creato delle prigioni, raccontando storie di vita vissuta da altri e rivelata all’artista e rifacendosi al pensiero dei poeti maledetti e di Nietzsche, parlando della pericolosa distopia praticata dai seguaci delle religioni e di un messaggio che finisce ad essere oppressivo più che liberativo.

INTERVISTA AD ALTHEA SU BAUDELAIRE

Ciao Althea, partiamo un po’ da quella che è la storia dietro Baudelaire, per chi ancora non l’ha sentita. Hai tu stessa detto che parla della storia d’amore tra una donna e un prete, corretto? 

Esattamente. Più precisamente, Baudelaire parla di un’esperienza vissuta da una mia amica intima con un consacrato. Tutto quel che ha vissuto e che mi ha raccontato mi ha dato lo slancio per scrivere questa canzone. Un grido di denuncia che vuole rappresentare tutte quelle donne che sono costrette a vivere loro malgrado nell’ombra un sentimento puro e cristallino come l’Amore (o almeno così dovrebbe essere).

Parli di gabbie, di leggi così limitanti che spesso portano alla disperazione. Tu ti ritieni, come donna, come artista, libera? Quanto è importante pensare fuori dagli schemi per te?

Assolutamente sì, già da piccola ho sviluppato un occhio critico nei confronti delle regole che mi venivano imposte – o che tentavano di impormi-, preconcetti dati per sacrosanti. Mi sono sempre sentita anticonformista, progressista e ribelle. Proprio come il mio amato poeta Baudelaire. Penso che gli artisti in generale debbano prendere spunto dalle grandi personalità della storia che hanno cercato di cambiare il mondo, andandoci spesso contro, pur di non andare contro se stessi. Mantenendo quindi la propria onestà intellettuale, pena l’essere tacciati delle più qualsivoglia definizioni.

Hai scelto come titolo del tuo singolo il nome del poeta maledetto per eccellenza. Parliamone.

Baudelaire è una figura che mi affascina da sempre, proprio per il suo spietato anticonformismo. Nella sua raccolta più celebre, I Fiori del Male, scrive in maniera tutto fuorché velata di peccato, Religione, Amore, Morte, tematiche giudicate immorali per l’epoca, motivo per cui è stato denunciato dalla difesa pubblica come personaggio oltraggioso nei confronti della morale religiosa. Che posso dire se non un gran bel “Chapeau”?

La musica da accostare ad un testo tanto pregno di significato come è stata scelta?

Di solito il modus operandi che porta al parto di una canzone è un testo grezzo, sopra cui inizio a canticchiarci la linea vocale; successivamente perfeziono i dettagli sia sul piano musicale che su quello testuale. Nel caso specifico di Baudelaire, è nato tutto in maniera molto veloce perché sentivo tutto dentro a mille e stavo implodendo: Baudelaire è stata la mia terapia, e lo è ancora adesso, ogni volta che la riascolto.

Qual è la cosa che ti piacerebbe arrivasse di più del messaggio che il tuo brano racchiude al pubblico?

Vorrei che si arrivasse all’abolizione dell’obbligo del celibato per i consacrati, tema che nei secoli è stato frequentemente discusso e affrontato, ma mai superato. E come questo, tanti altri precetti e leggi create ad hoc dagli uomini, perché mi risulta difficile credere nel Dio cattolico castrante e punitore, ma piuttosto in un potere superiore amorevole, che ci accompagna nella nostra evoluzione animica, in maniera totalmente libera e consapevole.