I parolieri della musica italiana | Artisti Eterni

Cosa rimane delle canzoni del passato? Dagli anni 60 ad oggi, la musica italiana ci ha regalato brani che nel tempo, attraverso un’aura magica, sono diventati parte della cultura del nostro Paese.

Impronte artistiche che hanno segnato intere generazioni e che nonostante l’ingresso nella scena musicale di nuove forme di espressione, continuano a far cantare l’Italia intera.

Oggi celebriamo i migliori cantautori e le migliori cantautrici di sempre!

Buon ascolto e buona lettura!

Leggi anche:

STRANGE BEFORE YOU: gli artisti più dirompenti della musica italiana

BEST INDIE ITALIA: il meglio dell’indie italiano

BEST INDIE ROCK ITALIA: fuoco e fiamme sul Paese

 

 LUCIO BATTISTI

Potremmo definirlo forse il più grande e sicuramente il più indimenticabile tra i cantanti italiani. Pensate solo a quante volte vi è capitato di canticchiare “La canzone del sole”. Lucio Battisti nasce nel marzo del 1943 e nel poco tempo che gli è stato dato dalla vita incide venti dischi, diventando uno dei più grandi interpreti del Novecento. Da un piccolo comune di Rieti, Battisti si trasferisce a Roma dove, come regalo per la promozione scolastica, a tredici anni si fa regalare una chitarra. Chitarra che diventerà sua fidata compagna anche negli anni a venire quando, riuscendo ad evitare la leva obbligatoria in quanto figlio di un invalido di guerra, si poté dedicare interamente alla musica.

Siamo agli inizi degli anni ’60 quando Battisti si trasferisce a Milano, dove è notato da un’editrice musicale francese che lo mette in contatto con Giulio Rapetti, in arte Mogol. Sebbene inizialmente scettico, fu proprio Mogol a convincere Battisti nel tempo a mettersi in gioco vocalmente e a cantare le proprie canzoni. Nel 1969 Battisti esordisce come cantante al Festival di Sanremo con “Un’avventura” e da lì, una maggiore consapevolezza di sé e il sodalizio con il collega, portò alla creazione di brani indimenticabili come “Non è Francesca”, “Acqua azzurra, acqua chiara”, “Mi ritorni in mente”, “Balla Linda”, arrivando poi, nel ’71, all’ep, “La canzone del sole/Anche per te”.

Quella di Battisti fu una vita che lo portò ad incrociare e collaborare personaggi di spicco, italiani ed esteri, e a staccarsi da altri, per quanto amati. Una vita breve, conclusasi, nella teoria, all’età di cinquantacinque anni e nella pratica mai. Perché Battisti non è stato un grande del suo tempo, è stato così visionario da staccarsi da qualsiasi orizzonte temporale, facendosi interprete di sentimenti umani, sempiterni ed immutabili.

FABRIZIO DE ANDRÈ

Uno dei maggiori esponenti del cantautorato italiano, De André canta la vita popolare con una sensibilità degna di un poeta. Personalità irriverente, nottambula e fortemente arrabbiata per tutte le ingiustizie del mondo, dalla fine degli anni ’50 le sue ballad malinconiche e talvolta ciniche ci segnano ancora oggi, a distanza di anni. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, brani del calibro di “Via del campo”, “Il pescatore”, “Don Raffaè” e “Amore che vieni, amore che vai” riescono ancora farci capire la vita, a spiegarci che i sentimenti e gli avvenimenti tendono a ripetersi, perché l’uomo difficilmente impara dai propri sbagli. 

 “La ballata dell’amore cieco (o della vanità)” è forse uno dei brani più iconici di De André, musicalmente ritmato e scandito da tromba e percussioni, ma con un testo profondamente doloroso, che ci mostra quanto danno può fare l’amore, che può portarci a compiere le azioni più orribili e raccapriccianti, in nome di questo sentimento che non riusciremo mai a capire.
Fortemente “assatanato di qualsiasi pezzo di carta stampata”, Faber non perse mai l’occasione per cantare ferocemente di qualunque cordata politica, mai preoccupato di censurare le proprie parole, e fu proprio lui il precursore di questo genere di cantautorato che cantava l’attualità, e non solo la propria esperienza personale, sempre con la speranza di curare a poco a poco il mondo con la sua musica.

FRANCO BATTIATO

Precursore del suo tempo, Franco Battiato ha creato un vero e proprio genere che parte dal pop, si trasforma in elettronica ed inserisce nella pozione anche testi dissacranti, mistici e filosofici. Non siamo stupiti quindi, che l’artista a tutto tondo abbia, come pochi altri, una voce all’interno dell’enciclopedia Treccani.

Battiato è riuscito a mantenere una credibilità immensa passando da “Alexander Platz” a “Voglio vederti danzare”, inserendo il capolavoro “La cura” all’interno dei nostri cuori e cercando un “Centro di gravità permanente”. Mente indubbiamente geniale, Battiato e la sua sofisticatezza e ricercatezza delle parole ci accompagnano ancora oggi nelle giornate più difficili e riescono a donarci un briciolo di luce alla fine del tunnel.

Riesce sempre a stupirci, non risulta mai banale ed è uno dei cantautori più romantici del suo tempo, basta ascoltare il testo di “Ti vengo a cercare” per rendersene conto. Franco Battiato ha indubbiamente gettato le radici per il sound alternative ed è ancora capace ad esorcizzare i nostri demoni con i suoi brani “e ti vengo a cercare, perché sto bene con te, perchè ho bisogno della tua presenza”, semplice eppure efficace e ricercato: questo è Battiato.

LUCIO DALLA

Canta Bologna, canta l’amore, i sogni, il mare, la paura…canta il mondo visto attraverso la sua anima Lucio Dalla, altro artista che con la sua musica ha segnato generazioni ed ancora oggi ci tiene per mano. 

Irriverente, spiritoso e profondamente autoironico, Lucio Dalla, complice la sua nascita strumentale dal Jazz, ha creato una tipologia musicale solamente sua, che comprende controcanti, respiri spezzati, parole sussurrate e gridate: immagini di vita vissuta che ascoltiamo come se stessimo guardando un film. Basti pensare a “4/3/43” portata a Sanremo nel 1971 che convinse totalmente, anche i più scettici, di quanto Dalla fosse una figura necessaria ed allo stesso tempo totalmente contraddittoria per quei tempi. 

“Tu non mi basti mai” è forse la canzone d’amore più coinvolgente mai scritta ed è estremamente declinabile in ogni situazione, dalla mancanza delle proprie radici, del proprio compagno, di un amico, di una madre. Negli anni ’80 Dalla era effettivamente il cantautore più popolare della scena italiana, e ci ha regalato perle rarissime del calibro di “Caruso” e “Futura” e, in quegli anni proprio come oggi, ci chiediamo costantemente “chissà, chissà domani…su che cosa metteremo le mani”.

ADRIANO CELENTANO

Adriano Celentano è un cantautore, showman, attore, regista, sceneggiatore, compositore e autore televisivo italiano, ci viene proprio da chiedere cosa non sia questa rocambolesca personalità che ha introdotto il rock&roll americano all’interno del cantautorato italiano di metà anni ’50. Non a caso la prima band di Celentano si chiamava “Rock Boys” che ha visto passare al suo interno nomi del calibro di Jannacci e Giorgio Gaber. Figura prettamente fuori dagli schemi della musica italiana del tempo, Celentano canta il rock americano con il suo personalissimo inglese (n.d.a. totalmente inventato) e lascia interdetti tutti i nomi discografici della musica italiana, che accetta la sfida e accoglie Adriano all’interno del panorama musicale, che non lascerà per i successivi 50 anni (e in cui continua a spopolare tuttora).

Numerosi sono stati i successi di Celentano, a partire dalla scanzonata “24mila baci”, passando per le sentimentali “L’emozione non ha voce” e “Per averti”, la malinconica “Il tempo se ne va” e l’attualissima “Il ragazzo della via Gluck”.

La collaborazione con Mina ha segnato profondamente la sua carriera, e ci ha regalato brani come “Acqua e sale”, “Amami amami” ed “Eva” riuscendo ad unire diverse generazioni, cantando sempre di amore attuale e disperato, mantenendo l’ironia, caratteristica principale presente nella maggior parte dei suoi brani.

È difficile racchiudere in poche righe la carriera del “Molleggiato”, con i suoi 49 dischi pubblicati, ci basti sapere che risulta essere il cantante italiano che ha venduto più copie dei suoi album, dopo Mina, e a giudicare dall’impatto che ha ancora oggi, non stentiamo a crederci.

MIA MARTINI

Abbiamo parlato di Loredana Bertè, impossibile non citare anche la sorella Mia Martini, una delle voci femminili più esplosive e trascinanti della musica italiana, complice un sound a metà tra il pop e la ballad struggente, tipico dei cuori tormentati, che riesce a creare una forte empatia con l’ascoltatore.

Sono innumerevoli i successi di Mia che ci ritroviamo ancora oggi a cantare con tutto il fiato che abbiamo in corpo, tra gli altri ricordiamo “Minuetto”, “Ancora tu nell’universo” e “Piccolo uomo”, tutti brani di album differenti, che hanno un solo unico filo conduttore: esplosioni musicali ed emozionali, di cui Mia e la sua voce piena sono assolute protagoniste e artefici.

L’amore in tutte le sue forme, l’accettazione di sé, ma anche le storie di vita quotidiana, sono i temi cari a Mia all’interno dei suoi brani e ci permettono di legare con un doppio nodo le nostre emozioni alle sue: con “Gli uomini non cambiano” racconta la sua infanzia difficile condivisa con la madre e le sorelle e percepiamo tutto lo struggimento di una donna disillusa dalla vita ed il dolore di una bambina cresciuta troppo in fretta.

La sua prematura scomparsa, ha lasciato un grande vuoto all’interno del panorama della musica italiana, ma non verrà sicuramente dimenticata, le sue canzoni continuano a vivere dentro di noi e ad essere apprezzate da tutti, non importa i gusti musicali che ci dividono: Mia Martini è di tutti e per tutti.

LUIGI TENCO 

L’insostituibile, il complesso e infinitamente discusso; per molti il detentore delle redini del cantautorato. L’andamento della musica leggera forse andrebbe diviso da “prima di Luigi Tenco” e “dopo Luigi Tenco”.

Nasce a Cassine, nella provincia di Alessandria nel 1938 e se c’è qualcosa che è stato in grado di insegnare nella sua lunga – ma forse troppo breve e sicuramente tragica – carriera musicale è quanto siano pesanti le parole. Perché le parole delle canzoni di Tenco sono fotografie con una potenza visiva pari a quella di coltellate.

Parliamo di brani come “Vedrai, vedrai”, come “Mi sono innamorato”, emblemi indimenticabili di quello che è la musica e di quello che è, per tutti, l’amore.

Sarà stato avere una situazione famigliare fin troppo complessa, da cui si è riuscito a staccare ma sempre e solo in parte, sarà stato il periodo genovese, il trasferimento a Milano, l’incrociarsi di storie e di mani con altri personaggi fondamentali nell’universo musicale, ma Tenco è un personaggio unico nella storia della musica italiana.

 

RINO GAETANO

Ironico, scanzonato, dissacrante, un turbine di energie. E perché proprio Rino Gaetano? La carriera di Gaetano parte dalla fondazione di una fortuita cover band, i Krounks, con cui il cantante nel 1968 suonava Dylan, Celenano, Jannacci e De André.Da qui si avvicina al locale-emblema romano, il Folkstudio, in cui conosce personalità come quella di De Gregori.

Amato e odiato proprio per il suo tono satirico e il perenne ghigno di chi sta ridendo con te, ma soprattutto di te, Gaetano si è fatto spazio nell’universo del cantautorato italiano divenendone un interprete unico nel suo genere. O, forse, per meglio dire, creando un genere.

Chi di noi non si è mai trovato a cantare a squarciagola “Gianna Gianna” o a trovare un briciolo di speranza nella voce graffiante che ti prometteva che il cielo sarebbe stato “sempre più blu”? Una fiamma che, purtroppo, si è consumata troppo in fretta, ma che è stata capace di rimanere indelebile, fissa immobile. Lui… “Forse non essenzialmente lui”.

MINA

Mina è indubbiamente l’icona della musica italiana, affascinante, indubbiamente un tesoro nazionale da preservare e curare. Venere degli anni ’60 e ’70, Mina ha fatto innamorare tutte le orecchie degli italiani, e riprendiamo una frase della sua canzone “Parole parole”: se Mina non ci fosse, si dovrebbe indubbiamente inventare. Musicalmente e tecnicamente impeccabile, in grado di schiudere anche il cuore più restio, Mina ha sempre avvolto nel mistero la sua persona, donandoci dopo gli anni ’70 solamente la sua voce, a suo parere (e anche nostro) il suo elemento indispensabile da condividere.

Tutti i suoi singoli più conosciuti fanno parte di tutti i repertori italiani cantati e ballati alle feste, “Tintarella di luna”, “Se telefonando”, “Città vuota”, “Mi sei scoppiato dentro il cuore”, “Grande, grande, grande” sono solo alcuni brani dell’immensa discografia di Mina, ogni ascolto ci provoca dei brividi lungo la schiena dati dalle emozioni che l’artista ci fa provare, riusciamo ad immedesimarci in ogni situazione che canta, siamo dilaniati dall’amore non corrisposto, tormentato e impossibile da lasciare andare, ci facciamo del male ma allo stesso tempo cerchiamo tutto questo dolore per guarire, per far si che “Nessuno” possa poi separarci da quel legame viscerale che ci lega all’altra persona. L’amore è indubbiamente il tema centrale in tutti i brani di Mina, sempre attuale e mai banale, l’artista riesce sempre a scavare dentro le nostre anime: non conosce la nostra storia, ma è come se fosse sempre stata a fianco a noi e continua a farlo, disco dopo disco.

Numerosi sono stati i duetti con alcuni esponenti della musica italiana, da Adriano Celentano, De Andrè, Battisti, Dalla e Cocciante, fino ad arrivare a Piero Pelù, Mondomarcio e l’ultima collaborazione con il giovanissimo Blanco, a sottolineare la versatilità e l’attualità dell’artista, che plasma la musica e allo stesso tempo si fonde con lei, andando incontro a nuovi sound ed epoche storiche, senza perdere mai la sua potenza comunicativa.

ENRICO RUGGERI

Nato con i Decibel negli anni ’80, con i quali si riunirà 37 anni più tardi, Ruggeri è un concentrato e mix di punk rock, melodie classiche e musica elettronica, rinomato autore di testi e di romanzi, profondamente influenzato dal punk britannico, tratta dei temi più disparati, dall’amore all’attualità, con un fil rouge che possiamo individuare nella sua capacità di osservare con occhi critici qualsiasi situazione (come succede ne “L’onda”).

Tra i suoi brani più famosi, di cui è stato paroliere, ricordiamo “Il mare d’inverno” portato alla ribalta da Loredana Bertè, “Quello che le donne non dicono” con cui Fiorella Mannoia è riuscita e riesce ancora oggi ad emozionare chiunque la ascolti, e che ha fatto cadere le accuse di misoginia verso Ruggeri, dopo l’esecuzione di “Contessa” con i Decibel al Festival di Sanremo del 1980, e “Si può dare di più” scritto per Morandi e Tozzi.

Ancora oggi ci ritroviamo invece a canticchiare “Peter Pan”, inno alla gioventù ormai persa, che Ruggeri invidia al figlio Pico, “Mistero”, brano che possiamo solamente definire benevolmente come “ruffiano” e le disperate “Non piango più” e “Poco più niente”, due brani con tema simile ma profondamente diversi, uno dettato dall’esperienza personale e uno dall’immaginazione. Come lasciare da parte poi il primo grande successo discografico di Ruggeri, “Polvere” rimane un singolo che ci riporta l’ossessione dei ricordi e una fredda sensazione data dalla musica elettronica.

Enrico Ruggeri è indubbiamente una delle figure più poliedriche musicalmente in Italia, e ci lascia ad ogni ascolto qualcosa su cui riflettere e, spesso, ci fa sentire teneramente fragili.

ROBERTO VECCHIONI

Roberto Vecchioni si inserisce all’interno della musica italiana degli anni ’60 attraverso il sublime uso delle parole, che gli consente di esprimere tutte le emozioni che intende trasmettere con una potenza che non smette mai di colpirci. Rivisitando tutti i generi musicali, dal jazz alla canzone napoletana, rimane un autore profondamente legato alle ballad pop e classiche, basti pensare ad un emblema ed inno della musica: “Luci a San Siro” è indubbiamente uno dei brani più emozionanti della storia della musica, dedicata ad una città, ma anche ad un’esperienza corale e condivisa.

“Chiamami ancora amore” è ancora il singolo più utilizzato per le dediche alla propria metà nelle storie d’amore, quelle che ti allargano il cuore e ti senti capace di accogliere qualsiasi forma di affetto, riuscendo a ridarla a tua volta. Molto diverso è l’altro grande successo di Vecchioni, “Samarcanda” ha uno stile musicale allegro e spensierato, eppure tratta un argomento così cupo come la morte.

Paroliere e poeta, Vecchioni riesce ad insinuarsi dentro di noi e ci ritroviamo a condividere la sua voce in “Voglio una donna”, perchè alla fine, vogliamo solamente essere amati con spensieratezza, senza tante complicazioni, ma possiamo solamente dire “Sogna ragazzo, sogna”, perchè l’amore è il sentimento più difficile da gestire, ci travolge e ci trapassa da parte a parte, ferendoci a volte, ma non dobbiamo mai perdere la speranza: non sempre la soluzione migliore è la più difficile, a volte è proprio lì, davanti a noi.

ORNELLA VANONI

Una delle voci più suadenti della musica italiana, Ornella Vanoni canta la vita, canta l’amore e canta le emozioni, con una delicatezza spensierata anche quando parla di dolore. “L’appuntamento”, “La voglia, la pazzia” sono solo alcuni dei suoi successi, quasi ninne nanne che ci accompagnano lungo la nostra vita, aiutandoci a superare ogni ostacolo ed avversità, convincendoci che dopo ogni buio ci sarà una luce brillante e sfavillante.

Personalità ironica e irriverente, Ornella fa parlare di sé anche ai giorni nostri, perdendo ogni freno inibitorio e lasciandosi guidare dalle tendenze odierne: basti pensare a “Toy boy” insieme a Colapesce e Dimartino, un brano leggero e spensierato, che ci ricorda di poter essere giovani ad ogni età. Uno dei brani più iconici di Ornella, rimarrà sempre “Ti voglio”, anche questo singolo spudorato e sincero, l’artista descrive perfettamente la sensazione di “colpo di fulmine” e appena le mani si toccano, veniamo attraversati da una scossa potente che ci fa spegnere la mente e ci accende il cuore.

Contraddistinta da una versatilità che spazia dalla bossa nova, al jazz, dalla canzone d’autore al pop, l’ultimo progetto di inediti di Ornella è del 2021, e vede protagonisti insieme a lei alcuni dei migliori artisti italiani, del calibro di Renato Zero e Carmen Consoli, anche se la collaborazione più profonda e “Senza fine” è indubbiamente quella con Gino Paoli.

GINO PAOLI

Gino Paoli ha iniziato la sua carriera musicale in una band con Luigi Tenco, ma è solo negli anni ’60 con “Il cielo in una stanza”, “La gatta” e “Sapore di sale” che raggiunge il successo, facendo ciò che gli riesce meglio: entrare all’interno della nostra anima raccontando sé stesso e, ovviamente, l’amore puro, delicato ed indistruttibile, quello che ci rende liberi, che ci fa evadere dai soffitti, facendoli sparire.

Con Ornella Vanoni ha le collaborazioni musicalmente più proficue, nate da una storia d’amore tormentata e “Senza fine”, che continua negli anni, trasformandosi in profondo affetto e amicizia, così forte che lei è presente anche nel periodo più buio di Paoli, quello del tentato suicidio.

“Ti lascio una canzone” e “Una lunga storia d’amore” sono altri due brani iconici che associamo a un Paoli degli anni ’80, profondamente introspettivi ed emotivamente devastanti, ma Gino non canta solo l’amore, come ci ricorda “Quattro amici”, brano dedicato all’amicizia e alla vita quotidiana, ma anche alla solitudine e alla sensazione di essere perennemente in ritardo rispetto alla vita di chi ci circonda, e in un batter d’occhio ci ritroviamo soli, con un calice di vino tra le mani, seduti sui tavolini fuori da un bar a guardare la frenesia degli altri.

PIERANGELO BERTOLI

Pierangelo Bertoli è tra le figure del cantautorato più rappresentative del periodo che va dagli anni ’70 al 2000. Nasce a Sassuolo e, a causa di una grave poliomielite, rimane in sedia a rotelle. Nonostante la vita tendenzialmente modesta condotta durante sua infanzia, Bertoli si avvicina alla musica grazie al fratello, ma fu solo all’età di venticinque anni che ricevette la prima chitarra in prestito da amici, l’iniziale pubblico delle sue performance da cantautore. Negli anni ’70 Bertoli entra in quello che diventerà il Partito Comunista Marxista Leininista Italiano, fondando con altri musicisti il Canzoniere Nazionale del Vento Rosso, casa editrice del partito tramite cui pubblicò diversi brani come “Marcia d’amore/Per dirti t’amo”.  

Grazie a Caterina Caselli, riuscì ad avere un contratto e a far uscire “Eppur Soffia”, che darà il via alla sua carriera, fino ad arrivare al ’79 alla celeberrima canzone-manifesto “A muso duro”. La sua vita va avanti tra attivo impegno politico di stampo prettamente comunista, impegno sociale per l’abbattimento delle barriere architettoniche e l’integrazione delle persone disabili, e impegno musicale, giungendo nel 1991 al Festival di Sanremo con “Spunta la luna dal monte”. Il suo ultimo concerto fu quello del settembre 2002 a Potenza, in seguito al quale, a causa di un tumore ai polmoni, morì a 59 anni.

Una moralità rara e un impegno sul campo sorprendente, che si traduceva in canzoni e narrazioni, fanno di questo “cantastorie” un personaggio da conoscere, ricordare e ammirare sempre.

FRANCESCO DE GREGORI

Se pensiamo al cantautorato italiano, tra i primi tre nomi che ci vengono in mente ci sarà sicuramente quello di De Gregori. Francesco De Gregori nasce a Roma dove, giovanissimo, vive il ’68 studentesco, ascolta Dylan e De Andrè, e si avvicina al celebre locale romano Folkstudio, frequentato, tra gli altri, da Antonello Venditti, con cui condividerà un’amicizia lunga una vita e il suo primo disco, “Theorius Campus”, un progetto di iniziale scarso successo per entrambi.

La svolta infatti fu l’anno dopo: siamo nel 1973 e De Gregori incide il suo primo album solista, “Alice non lo sa”, disco apprezzato dalle generazioni più giovani dell’epoca. Solo un anno dopo il cantautore ha la possibilità di collaborare con De André, con cui scriverà a quattro mani alcune delle sue canzoni. Anno dopo anno De Gregori incide quei brani che saranno destinati a rimanere nell’immaginario comune. Pensiamo alle tracce di “Rimmel”, uscito nel 1975, o “Bufalo Bill”, l’album più amato dal cantautore stesso.

Dopo canzoni come “Buonanotte fiorellino”, “Santa Lucia”, “Atlantide”, De Gregori non ferma la sua penna, che sembra inarrestabile, e due anni dopo esce uno dei brani più importanti, divenuto un vero e proprio inno, “Generale”. Nel ’79 ci fu l’avvicinamento a Lucio Dalla. Siamo nell’epoca di “Banana Republic” e di “Viva l’Italia”, prodotto dall’ex producer dei Rolling Stones. Nel 1982 esce “Titanic”, contenente canzoni come “La leva calcistica della classe ‘68” e nel 1983 “La donna cannone”.

È vero che “qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure”, un nome e una voce che riconosceremmo tra mille, una capacità di raccontare storie che non ci si riesce a staccare dalla pelle.

FRANCESCO GUCCINI

Tra gli enormi del cantautorato italiano non potevamo non citare Francesco Guccini. Modenese, inizia a suonare la chitarra, sulle influenze del rock’n’roll, a diciassette anni. La vita di Guccini è diversa da quella degli altri cantautori: si iscrive all’università, lavora come istitutore e poi come giornalista alla Gazzetta di Modena. Si trasferisce a Bologna, dove suona fino all’avvento del servizio militare. Al suo ritorno, si rimette a studiare Lettere, divenendo docente dell’Università americana a Bologna, rinunciando così a un posto negli Equipe 84.

La musica tuttavia non lo abbandona, e il giovane Guccini si avvicina alla band come autore. Il primo lavoro da solista è nel 1967, con “Folk Beat n°1”, che contiene brani come “Auschwitz (La canzone del bambino nel vento) e “Noi non ci saremo”. Il successo vero e proprio arriverà solo nel 1976, anno che coincide con l’uscita di “Via Paolo Fabbri 43”, album apprezzatissimo che contiene forse la più indimenticabile di Guccini, “L’Avvelenata”. Da qui, con un enorme balzo in avanti, vediamo più di venti album all’attivo, quattro targhe e due premi Tenco, una carriera che tocca la scrittura, la recitazione, la composizione, un impegno politico costante che si riversa sui suoi testi – pensiamo a “La locomotiva” –: tutto ciò che rende Guccini un preziosissimo unicum all’interno del vasto e ben frequentato panorama della musica italiana d’autore.

IVANO FOSSATI

“Un porto di guerra senza nessun soldato, senza che il conflitto sia mai stato dichiarato”. Così descrive Genova Ivano Fossati che nasce in quella città di cui sente le radici ogni secondo, a partire dal 1951. Dal rock progressive del gruppo “Delirium”, nel tempo Fossati, cantante e polistrumentista, mostra la sua anima più introspettiva e solitaria, iniziando la carriera solista nel 1973. Carriera complessa quella di Fossati ed è forse questo a renderlo un personaggio da leggere tra i chiari e gli scuri della sua musica e delle sue parole, che sembrano pesare così tanto da renderlo senza ombra di dubbio uno degli autori più importanti della musica italiana. Costantemente legato al tema del viaggio, della partenza, di un mare che ti permette di scappare e di tornare, Fossati inizia la sua carriera con “Il grande mare che avremmo traversato”. Arrivato in Rca nel ’77, inizia a tratteggiare una linea più prettamente rock, che lo porterà – appunto – a “La mia banda suona il rock” del ’79 e ad avvicinarsi a una grande collega e ad un grande amore, Mia Martini, con la quale lavorò a brani indimenticabili come “E non finisce mica il cielo”. Da qui si dimostra una penna rara, come dimostra in pezzi ormai cult del calibro di “Dedicato” interpretato da Loredana Bertè o “Pensiero Stupendo” di Patty Pravo. Alla fine degli anni ’80 pubblica “700 giorni”, che contiene tracce come la sua meravigliosa “Una notte in Italia”, e negli anni ’90 arriva ad una maturità che parte da “Lindbergh – Lettere da sopra la pioggia” e arriva all’incontro con De André nel ’96, anno anche del suo quattordicesimo album “Macramè”. Una vita all’insegna della musica che lo porterà poi al ritiro dalle scene nel 2011 e a un rapido ritorno, nel 2019, con il meraviglioso album “Mina Fossati”, progetto che incontrò l’iniziale titubanza del cantautore (risolta definitivamente dalla moglie dello stesso che minacciò di divorziare da lui se avesse rifiutato l’offerta di Mina).

Se pensiamo a Fossati pensiamo ad un artista a tutto tondo, capace di descrivere storie ed emozioni, con una penna così attenta e colta da essere impareggiabile.

GIORGIO GABER

“Ho bisogno di un delirio che sia ancora più forte, ma abbia un senso di vita e non di morte“.

Se leggiamo la biografia di Giorgio Gaber scopriamo che è stato tante cose: “cantautore, drammaturgo, attore, cabarettista, chitarrista e regista teatrale”. Perché Gaber è stato forse più di chiunque altro la personificazione della vitalità, sebbene lui stesso dichiarò che l’inizio della sua carriera musicale coincise con una malattia che gli paralizzò una mano e, per riprenderne l’uso, lo portò ad imparare a suonare la chitarra. Tra gli studi di Economia e le serate al Santa Tecla, noto locale milanese, ha la possibilità di conoscere personalità del calibro di Mogol, Celentano e Jannacci – tanto da fondare nel’58 i “Rocky Mountains Ol’ Times Stompers”, composti da Gianfranco Reverberi alla chitarra, Tenco e Tomelleri al sax e Jannacci al pianoforte -. Arriva successivamente alla casa discografica “Ricordi” e poi alla nota trasmissione “Il Musichiere”, divenendo tra i nomi di maggior successo di quegli anni.

L’opera di Gaber non può che essere definita rivoluzionaria nei confronti della storia della canzone italiana. Rifacendosi all’opera degli chansonniers francesi e del compositore Jaques Brel, l’azione della musica di Gaber fu di disincanto e distaccamento da una cultura che, volendosi scordare degli orrori della guerra, si era staccata dalla realtà e privata del contenuto.  Il dubbio e la disillusione, una ironia instancabile, portano poi a quella che fu la vera svolta per lui: il teatro-canzone e la nascita del suo “Signor G”. Ci ha lasciato – sicuramente troppo presto – canzoni che ancora oggi ascoltiamo con attenzione e ammirazione, come “Io non mi sento italiano”, “Destra-Sinistra”, “La ballata del Cerutti Gino”, “Lo Shampoo”, e il ricordo di una personalità sfavillante, nata per parlare degli italiani, per parlare degli umani, esattamente per quello che sono sono: esseri con meravigliosi dubbi, esseri con meravigliosi limiti.

EUGENIO FINARDI

Non è sicuro che la musica possa essere una questione di genetica, ma se pensiamo ad Eugenio Finardi allora è probabile. Con madre cantante e padre tecnico del suono, Finardi pare destinato alla musica fin dalla nascita, incidendo all’età di nove anni il suo primo disco. Nel tempo diviene chitarrista, pianista, cantante e autore. Stringe amicizia con Calloni e Camerini fondando “Il Pacco” esibendosi in diversi locali per poi entrare a far parte, insieme a Claudio Rocchi, degli “Stormy Six”, dove suona l’armonica e inizia ad attirare l’attenzione come cantante. 

Nel 1972 entra nella “Numero Uno”, casa editrice fondata da Battisti e Mogol, pubblicando due dischi e che lascia per entrare in AREA, fondata da Demetrio Stratos, il quale voleva l’artista con sé a ogni costo. Con l’etichetta pubblica il suo primo album “Non gettate alcun oggetto dai finestrini”, anche se sarà con “Sugo” del 1976 che verrà veramente apprezzato dal pubblico. Finardi si discosta dalla linea tipicamente cantautorale del tempo, proponendo sonorità rock/prog, partendo da “Diesel” – che contiene la celeberrima “Extraterrestre” – fino ad arrivare a “Dolce Italia”. Dai primi anni 2000 sperimenta con sonorità di matrice anche più blues, ammorbidendo la linea più rock-alternative che aveva dimostrato negli anni ’80. Sicuramente Finardi entra a far parte degli artisti di rottura di quegli anni, non solo per le tematiche trattate, che spesso seguivano il filone politico, ma anche per il genere rappresentato e per la sperimentalità delle sue sonorità.

VASCO ROSSI

Quella di Vasco Rossi è stata senza ombra di dubbio una “Vita spericolata”. Rocker, ribelle, un carattere complesso che non ha mai voluto nascondere, Vasco inizia la sua carriera nei primi anni ’70, all’epoca delle contestazioni studentesche, a cui prende parte essendo studente all’Università di Bologna, che lascia dedicandosi alle cosiddette radio libere. Presto diviene un noto dj tra Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, ma ha sempre nel cuore l’aspirazione di diventare cantautore. Inizia mano a mano a far sentire le sue canzoni che diventeranno negli anni a venire quelle che cantiamo ancora oggi. Pensate ad “Albachiara”, contenuta nel 33 giri “Non siamo mica gli americani”, che non ebbe un successo immediato, ma che proprio grazie a quella canzone fu un trampolino di lancio per il giovane Vasco. È il 1980 quando pubblica “Colpa di Alfredo” e inizia il noto turbinio degli eccessi che lo portarono ad essere il personaggio chiacchierato e riconosciuto da tutti. Dopo l’uscita della celeberrima “Siamo solo noi”, nel 1982 partecipa al Festival di Sanremo con “Vado al Massimo” e con “Vita spericolata” l’anno successivo (di nome e di fatto, dato che riesce a salvarsi in ben due incidenti stradali e a superare un arresto).

Negli anni ’90 Vasco è al culmine della sua popolarità, con una fan base numerosissima e dieci dischi di platino all’attivo. Pubblica “Gli spari sopra”, “Nessun pericolo per te”, “Canzoni per me” e, nel ’99, “Rewind”. Il tempo per Vasco vola da “Buoni o cattivi” ed “Eh già”, ma l’amore per il cantante non si placa tanto che al Modena Park del 2017 Vasco a sentirlo ci saranno 220.000 spettatori. “Come è possibile?” verrebbe da chiedersi. Forse la ragione sta nel fatto che in questa sua ingente, sincera, estrema carriera, Vasco si è sempre raccontato come se parlasse a tutti, ma anche come se parlasse a ciascuno di noi, guardandoci dritti negli occhi e facendoci sempre sentire, nella nostra unicità, parte di un qualcosa. Ed è così consolatorio che le persone non ti sanno scordare più. 

BRUNO LAUZI

Tra i fondatori della scuola genovese insieme a Paoli e Tenco, Bruno Lauzi è senza ombra di dubbio uno degli artisti più importanti per la nascita del cantautorato moderno. La frequentazione dei due, la sua partecipazione alla “Jelly Roll Morton Boys Jazz Band”, le canzoni scritte a quattro mani con Tenco, lo hanno formato inizialmente per poi farlo arrivare nel ’56 a Varese, dove si avvicina all’Altolombardo, studia legge alla Statale di Milano (che lascerà per dedicarsi esclusivamente alla musica) e scrive il brano-manifesto “Il poeta”, benché sarà poi con la celeberrima “Ritornerai” che raggiungerà il successo.

A Milano Lauzi inizia a frequentare i circoli artistici e ha la possibilità di conoscere personalità di spicco, lavorando al “Derby”, il celebre locale di cabaret milanese frequentato da artisti come Jannacci, Cochi e Renato. I consensi iniziano ad essere sempre più ampi, tanto da portarlo in tournee internazionali e a conoscere, negli anni sessanta, Lucio Battisti, che lo scrittura facendolo entrare nella sua casa discografica, la “Numero Uno”, diventandone collega e assiduo collaboratore. Tra brani apprezzatissimi come “Amore caro, amore bello” e hit da primo posto scritte per altri, come “L’appuntamento” di Ornella Vanoni o “Almeno tu nell’universo”, interpretata da Mia Martini, e vincitrice del premio alla critica al Festival di Sanremo 1989, la carriera di Lauzi è inarrestabile e diviene uno dei massimi rappresentanti della musica italiana d’autore.

Negli anni ’90 decide di fondare la sua etichetta, la “Pincopallo” e pubblica uno degli album più apprezzati della sua carriera: “Il dorso della balena”. Perennemente curioso, voglioso di conoscere e di imparare, dedito alla scrittura, alla politica, al giornalismo, persino all’enogastronomia, Bruno Lauzi non si fa fermare dal morbo di Parkinson che gli è stato diagnosticato, ma va avanti a pubblicare una serie di album, canzoni e poesie. La sua vita si conclude com’è iniziata – come lui stesso disse -, insieme a Tenco. Nel 2006 vince infatti il Premio Tenco e si spegne lasciando in ricordo la sua musica e il grande esempio del fatto che è davvero possibile sfruttare al meglio il tempo che ci è dato a disposizione se ci si mette impegno, dedizione e passione.

MOGOL

Mogol, pseudonimo di Giulio Rapetti, è uno dei più celebri autori di canzoni italiani, la cui carriera artistica ha lasciato un’impronta indelebile nella musica italiana. Nato il 17 agosto 1936 a Milano, Mogol ha scritto testi che hanno affascinato e toccato il cuore di molte generazioni.

La sua carriera ha avuto inizio negli anni ’60 in collaborazione con il noto musicista Lucio Battisti. Insieme, hanno creato alcune delle canzoni più iconiche e rivoluzionarie della storia della musica italiana. Le liriche profonde e poetiche di Mogol si sono fuse magnificamente con le melodie innovative di Battisti, dando vita a capolavori intramontabili.

Mogol è riconosciuto per la sua abilità nel catturare emozioni complesse e universali attraverso le sue parole. I suoi testi affrontano temi profondi come l’amore, la solitudine, la ricerca interiore e le sfide della vita quotidiana. Le canzoni scritte da Mogol hanno ispirato e accompagnato diverse generazioni di italiani, offrendo una colonna sonora per i momenti più significativi delle loro vite.

La sua influenza sulla musica italiana è inestimabile. Le collaborazioni con artisti di spicco e le sue composizioni hanno contribuito a definire il panorama musicale italiano, spaziando dal pop all’arte rock. Mogol è stato in grado di adattarsi ai cambiamenti dei gusti musicali nel corso degli anni, mantenendo comunque la sua impronta distintiva.

La sua eredità si riflette non solo nelle vendite record delle canzoni che ha scritto, ma anche nell’ammirazione e nel rispetto di colleghi, musicisti emergenti e appassionati di musica. Mogol rimane uno dei più importanti autori di canzoni italiani, la cui poesia e profondità continuano a influenzare e ispirare artisti e ascoltatori in tutta Italia e oltre.

FIORELLA MANNOIA

Fiorella Mannoia è una straordinaria cantante e interprete italiana che ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama musicale del paese. La sua carriera eclettica e la voce potente l’hanno resa una delle figure più amate e rispettate della scena musicale italiana.

Fiorella Mannoia ha iniziato la sua carriera musicale negli anni ’70, guadagnando rapidamente popolarità grazie alla sua voce calda e coinvolgente. Nel corso degli anni, ha interpretato una vasta gamma di generi musicali, dal pop al folk, dimostrando la sua versatilità artistica.

Una delle caratteristiche distintive di Mannoia è stata la sua capacità di interpretare canzoni profonde ed emotive. Tra i suoi successi più notevoli, “Quello che le donne non dicono” è diventata una sorta di inno, esplorando le complessità delle emozioni femminili. Altre canzoni significative includono “Il cielo d’Irlanda”, che tocca temi di libertà e speranza, e “Sally”, una canzone che riflette sulla fragilità dell’esistenza umana.

Mannoia ha dimostrato la sua forza anche come interprete di brani impegnati socialmente, come “Come si cambia”, che affronta il tema del cambiamento sociale e “A te”, una canzone che esplora il desiderio di rinnovamento personale.

Oltre alla sua impressionante discografia da solista, Fiorella Mannoia ha anche collaborato con altri grandi artisti italiani e ha partecipato a progetti musicali di successo. La sua voce unica e la sua capacità di comunicare profonde emozioni hanno reso le sue esibizioni memorabili e coinvolgenti per il pubblico.

Fiorella Mannoia rappresenta un’icona della musica italiana, una cantante che ha saputo conquistare il cuore di molte generazioni con la sua voce potente e le sue interpretazioni cariche di sentimento. La sua eredità musicale continua a influenzare e ispirare non solo i fan, ma anche gli artisti emergenti che cercano di seguire le sue orme.

GIANNA NANNINI

Gianna Nannini, nata il 14 giugno 1954 a Siena, è una delle più grandi icone rock della musica italiana. La sua carriera straordinaria e la sua voce unica l’hanno resa una figura di spicco nel panorama musicale non solo in Italia, ma anche a livello internazionale.

Fin dagli anni ’80, Gianna Nannini ha impresso il suo marchio nel mondo della musica rock italiano con canzoni che riflettono la sua personalità forte e ribelle. Brani come “Bello e impossibile” e “America” sono diventati inni per intere generazioni, con testi audaci e melodie contagiose.

Una delle caratteristiche più riconoscibili di Nannini è la sua voce graffiante e potente. La sua interpretazione intensa e carica di emozioni ha reso ogni sua canzone un’esperienza coinvolgente per l’ascoltatore. “Meravigliosa creatura”, ad esempio, è una ballata iconica che ha catturato il cuore di molte persone grazie alla sua melodia accattivante e alle liriche sentimentali.

Nannini ha dimostrato di sapersi reinventare nel corso degli anni, sperimentando nuovi suoni e collaborazioni creative. Il suo album “Io e Te”, ad esempio, ha dimostrato una vena più intima e personale nella sua musica, dimostrando la sua versatilità artistica.

Oltre alla sua carriera musicale, Gianna Nannini è anche nota per il suo impegno sociale e politico. Ha affrontato temi come l’uguaglianza di genere e l’ambiente attraverso le sue canzoni e le sue dichiarazioni pubbliche.

La sua influenza sulla scena musicale italiana è innegabile, e il suo impatto culturale ha attraversato generazioni. Gianna Nannini rappresenta una forza inarrestabile nel mondo della musica, una cantautrice e interprete straordinaria che ha continuato a evolversi e a ispirare fan e artisti in tutto il mondo.

PINO DANIELE

Se chiudiamo gli occhi e pensiamo a Napoli, tra le immagini che ci si figurano davanti ci sarà sicuramente quella di Pino Daniele, che ha saputo divenire interprete e prezioso emblema della sua città. La carriera di Daniele inizia a quindici anni, quando gli viene regalata la prima chitarra. Negli anni ’70 inizia la ricerca artistica: il giovane avrebbe infatti voluto creare una musica nuova, fondendo generi ed influenze diverse. Insieme a Gino Giglio forma i “New Jet”, con cui suona nelle piazze ricevendo i primi consensi e, dopo anni di gavetta, nel 1977 EMI pubblica “Terra mia”, il suo primo disco, di cui ricorderemo sicuramente brani come “Napule è” e Na tazzurella ‘e cafè”. In una commistione tra cantautorato napoletano, jazz, funk, rock e blues, Pino Daniele fonda un vero e proprio genere musicale, quello che da lì in poi verrà chiamato “sound napoletano”. Nonostante l’iniziale difficoltà legata al dialetto, l’artista riesce infatti a farsi spazio, in particolar modo dall’uscita di “Pino Daniele” del 1979, che conteneva l’apprezzatissima – e oggi conosciutissima – “Je so pazzo”, continuando poi con brani come “Nero a metà”, “Quanno chiove”, “Yes I know my way”, “A me me piace ‘o blues”. È il 1983 quando Pino Daniele fonda la sua etichetta discografica a sessanta chilometri da Napoli, la “Bagaria”; l’88 quando vince il Premio Tenco con “Schizzechea with love” e l’89 quando pubblica “Mascalzone latino”, contenente la sua “Anna verrà”.

In questi anni si avvicina a Troisi, con cui diventa amico per la pelle e che scriverà per lui canzoni meravigliose, come la famosissima “Quando”. Verso la metà degli anni ’90 inizia un nuovo periodo per Pino Daniele, che si avvicina alla musica contemporanea, abbandonando talvolta il dialetto e collaborando con artisti come Giorgia, Jovanotti ed Eros Ramazzotti. Album dopo album, ricerca musicale dopo ricerca, la voce di Pino Daniele si è scolpita nei cuori di tutti i suoi ascoltatori, italiani e non, tanto da essere riconosciuto unanimemente ad oggi come uno dei più grandi scrittori ed interpreti della musica italiana; tanto che la sua musica, nonostante la sua prematura e improvvisa scomparsa, suona ancora forte e chiara per noi. 

 ZUCCHERO FORNACIARI 

Il principale esponente del blues italiano, Zucchero con la sua carriera più che trentennale ci ha sempre coinvolto emotivamente cantando l’amore passionale, quello che ti dilania e quello delicatissimo, maestro delle metafore e spesso sibillino nei suoi testi (basti pensare che la struggente “Tobia” è stata scritta da De Gregori e parla proprio dal punto di vista del cane disperso sotto la pioggia di Zucchero).

Profondamente ironico e geniale, Zucchero, oltre ad essere un grande interprete, è un sensibilissimo cantautore che ci ha regalato brani profondamente emozionanti come “Indaco dagli occhi del cielo”, “È delicato”, “Diamante”, “Così celeste”, “Occhi” e tantissimi altri brani che sono in grado di farci scendere qualche lacrima, soprattutto se siamo nel giusto mood.
“Di te, odio l’amore che, forse non sai cos’è ora che tutto tace tra noi” (“Puro amore”) Zucchero è in grado di leggere dentro la nostra anima e i nostri cuori spezzati, trovando sempre le parole giuste per farci esorcizzare questi sentimenti che, a volte, sembrano proprio essere di troppo.
Tantissimi sono anche i brani che ci hanno sempre fatto ballare e cantare, e di sicuro continueranno a farlo: “Baila morena”, “Guantanamera”, “Vedo nero”, “Un Kilo”, “Diavolo in me”, “X colpa di chi” sono solamente alcuni dei titoli che ci fanno scatenare.

 Zucchero canta in italiano, in inglese e in spagnolo, ed è sempre accompagnato da artisti superbi sia musicalmente sia in termini vocali, e vedere un suo live è sempre spettacolare, sicuramente indimenticabile e ad oggi, non è possibile trovare una personalità che lo equivalga nel mondo musicale italiano.

Di

Margherita Ciandrini

Benedetta Fedel

Salvatore Giannavola