La cura di Camilla

La cura di Camilla

Di Stefano Giannetti

Ho sempre pensato che la marmellata dentro le caramelle a forma di spicchio d’arancia fosse marmellata finta. Rispetto a quella nei barattoli fa schifo ed è più attaccaticcia. Fa niente. È proprio il suo potere appiccicoso che mi serve ora. E non potrebbe fare più schifo di quello che sto preparando.

È stata nonna a farmi scoprire queste caramelle, quand’ero piccola. Ogni volta che tornavo dall’asilo piangendo perché qualche maschio stronzo mi fregava la merenda o un gioco, lei mi dava uno di quei dolcissimi spicchi ripieni. O una Zigulì. Mi diceva che erano medicine, che se le succhiavo poi stavo meglio. Facevano passare la tristezza.

Era vero. Funzionavano. Un po’ come la Tachipirina per il raffreddore, o la Benagol per il mal di gola. Che buone le Benagol. Sono come grosse caramelle e durano tanto in bocca. Appena ho un leggero fastidio al palato o al gargarozzo, ne approfitto per farmele comprare. Da nonna, perché mamma mi sgrida sempre. Dice che so solo lamentarmi e che prendo le medicine troppo facilmente. Mi sfotte, pure. Quando mi vede ingoiare una pasticca mi chiama Camilla la drogata.

Mamma sa solo litigare. Con me, con papà, con nonna. Mamma e papà discutevano sempre quando facevo le elementari. Certi giorni non volevo tornare a casa. Quando li sentivo gridare rubavo un’aspirina dal bagno e la ingoiavo, il loro chiasso mi faceva venire il mal di testa. Ma in realtà era più il petto che mi faceva male quando li vedevo urlarsi in faccia. E nessun farmaco aveva mai posto rimedio a quel malessere. Ora che sono alle medie, quasi non si parlano più. E se parlano a me è solo per sgridarmi. Dicono che a scuola faccio poco, a casa ancora meno e vado sempre a frignare da nonna, perché mi difende pure se sto nel torto.

Non è vero. Pure nonna m’ha strigliata due mesi fa. Quando le ho detto che Vivin C, Benagol e Zigulì avevano perso efficacia, mi ha fatto promettere di smetterla di prendere le pasticche perché era pericoloso, e di diminuire le caramelle che pure facevano male.

Mi ha portata in chiesa la domenica dopo e mi ha detto che l’unica vera cura era l’ostia, così sono andata con lei tutte le settimane. Era dalla prima comunione che non andavo a messa. Ai tempi del catechismo mi fecero più o meno la stessa raccomandazione di nonna: mentre lasciavo sciogliere l’ostia in bocca, dovevo pregare Gesù per farmi proteggere dai miei mali.

Ha funzionato. Non sul mio corpo, ma sulla causa dei miei mal di testa e di stomaco sì. Nelle ultime settimane ho visto che mamma e papà si sono parlati un po’ di più e quasi sempre senza litigare, solo che ora stanno molto meno tempo a casa insieme. Tutti e due tornano uno più tardi dell’altro dal lavoro e sono sempre vestiti come quando vanno alle feste.

Ieri erano mamma e nonna a bisticciare. Avevo mal di pancia e uno strano dolore al petto. Stavo per entrare in cucina, avevo scoperto che nonna teneva tante ostie nella credenza. Quando cuoceva gli amaretti ce le attaccava sotto. Volevo rubarne un po’ per curarmi senza aspettare domenica. Però c’erano loro due, ho dovuto aspettare. Così le ho sentite.

Nonna diceva “È meglio che tu e Stefano vi lasciate, fatelo per Camilla. Non so più che fare con lei. Non c’è altra soluzione.”

Le fitte allo stomaco d’improvviso sono diventate fortissime, mi sono piegata e non riuscivo più a stare dritta. Ho sentito le mutande bagnarsi, sono corsa in bagno. Non potevo credere di essermela fatta addosso. Quando mi sono spogliata e ho visto che non era pipì il liquido che mi scendeva lungo le gambe, ma sangue, ho iniziato a sudare freddo. Mi sono appoggiata al muro con la schiena cercando di respirare lentamente.

Stavo più male di prima, addirittura sanguinavo da qualche ferita interna che non potevo vedere. Mamma e papà si sarebbero lasciati e nonna non aveva più rimedi per aiutarmi. Pure Gesù s’era arreso e io stavo al cesso senza vestiti di ricambio. Dovevo uscire almeno coi pantaloni addosso, sperando di raggiungere la mia cameretta senza che nessuno notasse le macchie. E comunque dovevo lavarmi, anche se avevo paura e sentivo brividi e pizzicori tra le cosce al solo pensiero di toccarmi. Quando mi sono avvicinata al bidet, ho visto il mobiletto sul lavandino di fianco e ho avuto l’idea che mi ha portata a fare quello che sto facendo.

Un ultimo tentativo andava fatto, ma ho rimandato tutto alla notte per potermi muovere senza essere scoperta.

Così eccomi qua. Ho preso due pasticche da ogni scatola del bagno, le ho portate qui in cucina e le ho rotte tutte fino a sbriciolarle. Poi ho preso un’ostia e l’ho usata per avvolgere la polvere di farmaci; ho spaccato una caramella a spicchio e con la marmellata finta appiccicosa ho sigillato i bordi.

La mia Super Sacra Medicina è grande come un biscotto. Mi pare il minimo, considerando i prodigi che deve fare. Impossibile da succhiare o ingoiare. Non importa, mastico.

Che schifo. È amarissima e i pezzetti delle pastiglie restano tra i denti e sotto le gengive. Meglio aiutarmi con un po’ d’acqua. Vorrei andare a letto ma mi sento piena fino alla gola e stanca. Aspetterò l’effetto del pasticcone seduta in cucina.

Sto vomitando, lo stomaco mi fa male. Sembra che qualcuno me lo stia allargando e accartocciando di continuo. Il pavimento freddo mi dà uno strano sollievo alla schiena, e sotto le braccia e le gambe, che si muovono a scatti da sole come se avessi le scosse lungo tutto il corpo. Non riesco a fermarle, a fermarmi. Tremo tutta.

Però mamma e papà si parlano tanto, senza litigare. Li ho visti persino stringersi mentre mi guardavano con gli occhi terrorizzati. Sono felice. Anche nonna ha abbracciato mamma che piangeva.

La Super Sacra Medicina un po’ ha funzionato. La pace l’ha riportata. Io presto starò meglio.

Sto sorridendo alla mia famiglia, almeno credo. Non sento più le labbra, il naso e le guance. Ma non importa, è il più bel giorno della mia vita.

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