Missey: “Non c’è una via semplice, si fa la strada sconosciuta” | IndieTalks
Quando si parla della storia di un musicista molto spesso esce fuori il termine percorso artistico come ad indicare che nel corso degli anni può cambiare l’approccio stilistico, la scrittura e le sonorità. Riflettendoci un attimo, viene banale dire che ognuno di noi sta seguendo una vita o una rotta, a volte lasciandosi trascinare dalle possibilità o anche contrariamente, precludendosi scelte diverse per mancanza di decisione o coraggio.
Missey pubblica un disco, “La ricompensa della mangusta”, già intrigante dal nome che indica un viaggio più che una strada prestabilita, dentro il quale nasconde indizi su chi è, su cosa sogna e cosa vorrebbe trovare al di là del orizzonte del domani, senza dimenticarsi della via che sta attraversando nella sua storia.
Non sempre è meglio scegliere la via più facile o lineare, tante volte dare fiducia all’istinto può portare non solo a scoprire nuovi panorami, ma a capire che mappe vivono dentro noi stessi.
MISSEY X INDIE TALKS
Che regole ha la tua musica?
Scrivere in modo sincero con le parole che userei con un amico, per trasmettere e comunicare con chi ascolta.
Cos’è la ricompensa della mangusta e come mai ha scelto questo animale?
“La ricompensa della mangusta” è ironizzare su quando una meta specifica diventa così tanto un’ossessione da rendere faticosi i passi e paralizzare le nostre capacità decisionali. Lungo la strada non cambiamo idea ma ci intestardiamo, consumiamo energia mentale, fisica, rapporti, momenti, soldi e interessi. Che senso ha rincorrere una ricompensa così alienante?
La mangusta l’ho scelta perché mi ci prendevano in giro da piccola quando legavo i capelli, e inserirla in un disco anni dopo significava svuotare e superare di brutto giudizi, fisici e non del passato e leggere chi sono sotto una nuova prospettiva.
Da un punto di vista meno personale, la mangusta è un animale che appare innocuo, indifeso, eppure per una mutazione genetica di qualche tipo in comune con i rettili (ho preso paginate di appunti su un quaderno ma ora non ricordo, spero di non sbagliare tutto) non resta vittima del loro veleno, ma anzi li combatte. Questa immagine di avere qualcosa in comune con un veleno e anche per questo riuscire a vincerlo, mi ha colpito.
Quali favole sei solita raccontarti per trovare delle risposte?
Quando voglio darmi risposte comfort mi racconto una brutta favola per ogni difetto o casino che combino. Quando invece ammetto a me stessa di volere davvero delle risposte mi rendo conto che per ogni casino e lacuna che ho, intorno a me ci sono tantissime storie ed esempi, (non favole) di persone da cui, parlandoci o attraverso la loro musica, opere, libri posso imparare qualcosa in più, rispecchiarmi, sentirmi più comune e meno sola: trovare nuove vie.
L’equilibrio delle scelte personali vacilla di fronte alla velocità del mondo?
Credo di si, perché ogni azione e progetto che facciamo si compone di un inizio, uno svolgimento e una fine e se la velocità che regola questi passaggi non è dettata dai nostri ritmi, ma da metri canonici, seriali e usa e getta, rischia di perdere significato ogni momento non misurabile secondo quello schema.
Siamo abituati a prendercela con gli altri, ma molte volte non riusciamo a capire cosa vogliamo e cosa pensiamo di noi stessi?
Ci sentiamo inadeguati, con un cuore in meno come in “JOA”.
Per questo è importante parlare e ascoltare davvero le altre persone, perché quando ci confrontiamo con l’esterno quell’idea di perfezione che pensiamo appartenga solo alle vite degli altri crolla, vediamo la realtà e i diversi modi di ognuno di affrontarla, come in “Fiammiferi”.
Quando si gioca bisogna vincere o divertirsi?
Totale divertirsi, vincere senza aver mai alzato lo sguardo dal tabellone per vedere l’altro partecipante, controllando e reprimendo fino all’ultimo secondo è un esercizio che non può far apprezzare il gioco.
Per allontanarsi dalla massa e difendere la propria unicità bisogna averne il coraggio di pagarne il prezzo della scelta?
Più che coraggio, la serenità di accettare che decidere di abbracciare le proprie idee di vita rende solidi, mette in un setting mentale per cui la cura della propria unicità si amplifica nel conoscere altri scenari, nel dialogo, nella condivisione con gli altri e nella consapevolezza di non poter accontentare e piacere a tutti.
Ci vuole coraggio per sognare?
In questo momento storico davvero tanto e credo che capiti spesso di chiedersi se ne valga la pena o se sia ancora il caso, anche perchè viviamo in un paese che tende ancora ad immaginare il sogno come qualcosa di totalmente inverosimile e lontano da una possibile realizzazione, tipo una sordina rispetto ai propri sogni e quelli degli altri. Ho visto cosa succede però quando si reprimono tutti nel tempo: da sogni diventano sogni sfumati e di colpo insofferenza perenne.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.