indie italiano

La donna raccontata dall’indie italiano

Di Aurora Aprile con illustrazione di Ramona Iurato

Il topos de “la donna è mobile”, nell’accezione negativa del termine che la definisce come instabile, giunge dalla tradizione letteraria popolare, ben anteriore alla celebre aria verdiana del Rigoletto, ma in un mondo in cui le donne hanno fatto della loro capacità di cambiare e rinnovarsi una vera e propria bandiera, è stato ormai oggetto di una revisione verso il significato positivo di mutevole.

A catturare tale carattere prismatico della femminilità si sono cimentati poeti, scrittori e cantautori tra i quali non potevano mancare i paladini dell’indie italiano, che li si voglia vedere in questa veste, come pionieri dell’itpop o molto più goliardicamente come rappresentanti della “musica pe’ scopà”.

Questi, facendo leva sul principio di immedesimazione delle ascoltatrici nelle protagoniste delle loro strofe da un lato e sul bisogno di proiettare, insieme ai loro, tutti i sentimenti degli ascoltatori dall’altro, sono riusciti a ridarci un’immagine della donna che va dalla finta alternativa appassionata dello stesso genere ad una creatura non poi così distante dalla Beatrice dantesca.

Come viene cantata la donna nell’indie italiano?

Diverse per finta”, “Diverse per davvero”, “Da proteggere” e “Da cui proteggersi” potrebbero essere i nomi delle categorie in cui così tanta mutevolezza è stata racchiusa e anche, se lo volete, di vostre nuove playlist su Spotify.

Non ci resta quindi che analizzarle una ad una per avere un’immagine non di certo esaustiva, ma quantomeno varia di come la donna viene cantata attraverso i nostri stereo e cuffiette.

DIVERSE PER FINTA

Radical chic” e “finta alternativa” sono solo due delle etichette che negli anni mi son sentita affibbiare al mio “ascolto anche musica indie”, indici della diffusione nell’immaginario collettivo di una rappresentazione della donna portata avanti da alcuni rami dallo stesso genere.

L’idea della ragazza a metà tra il liceo e l’università, con la maglietta di una storica rock band e la camera ancora piena di poster non è tuttavia l’unica abbracciata dall’universo indie italiano e ben ce lo ricordano Niccolò Contessa de I Cani e Galeffi.

I due, infatti, rispettivamente in Camilla e Hipsteria, portano alle nostre orecchie e anche ai nostri occhi per l’immediatezza delle immagini utilizzate, due ragazze sulla ventina che, ancora in cerca della propria identità, si atteggiano da bohémienne che non sono e finiscono per rubare quella di qualcun altro.

Galeffi non giustifica questa condotta e rifila alla bella che sfoglia solo distrattamente i libri che colleziona per fare l’intellettuale un “con te proprio no”.

Dello stesso avviso risulta Contessa che non ci impiega troppo a sgamare la finta malinconia assunta della protagonista del suo brano solo per darsi un tono e malcelata dietro un paio di leggings fluorescenti.

La morale? Togliersi dalla testa il pensiero che l’indie di casa nostra tratti di e sia attratto solo da donne che sbandierano la propria presunta diversità come le calamite sono attratte da un frigo. In questo campo magnetico c’è molto di più.

DIVERSE PER DAVVERO

Accanto alla condanna di certi stereotipi, non manca nei testi indie italiani l’esaltazione della figura femminile che, in quanto capace di cose che quasi neanche ci si riesce a spiegare, finisce per essere realmente connotata da diversità, non solo rispetto alle altre donne, ma anche e soprattutto rispetto al genere maschile.

Tra le canzoni che meglio danno spazio a questo lato ce ne sono senza dubbio due dei Thegiornalisti, ovvero L’ultimo grido della notte di cui è protagonista Marina e Fatto di te che invece ruota attorno a Matilde.

I pezzi non svelano molto delle due donne in sé e per sé, ma tanto dell’effetto che queste hanno su chi di loro canta, Tommaso Paradiso, il quale sembra preda del loro sorta di incantesimo.

Per lui, infatti, non è colpa del drink se si sente il cuore scoppiare, ma è causa dell’amore che Marina gli fa provare e ancora Matilde non è solo percepita come una sostanza di cui esser fatti, ma addirittura un elemento primordiale di cui esser composti.

Non sentite anche voi il riecheggiare di un certo Dolce Stil Novo?

DA PROTEGGERE

Così tante qualità all’interno del solo corpo femminile risultano alla nuova schiera di cantautori italiani come meritevoli e allo stesso tempo bisognose di essere custodite.

Ecco allora che emergono ritratti di donne la cui fragilità viene vista come particolarità da proteggere dalle cose brutte della vita.

Farti scivolare addosso questo mondo infame, mettermi tra te e cento lame mentre cerco il mare” sono gli ormai famosissimi versi con i quali Coez rende questo concetto in La musica non c’è.

Neanche Gazzelle è da meno in Greta, nella quale raccomanda all’omonima protagonista di non lasciarsi mai troppo andare, tantomeno di fronte alle cose che pur sembrando vere, possono finire per non esserlo.

Non bisogna tuttavia temere: quella dell’indie italiano è tutt’altro che una visione basata sul luogo comune del sesso debole, continuare a leggere per credere.

DA CUI PROTEGGERSI

La concezione della donna come essere fragile da difendere risulta solo una delle tante sfumature con le quale questa viene tratteggiata.

Anzi, il più delle volte, sono proprio gli uomini che devono salvaguardarsi dal potere che le controparti femminili esercitano su di loro, come ha ben dimostrato Calcutta.

La sua amata, difatti, riesce a renderlo malinconico e triste a tal punto da fargli chiedere “Cosa mi manchi a fare” nell’omonimo brano che ha consacrato il suon successo o lo porta a fargli ammettere che ovunque si trovi, tutte le strade continueranno a portarlo comunque alle sue mutande, come in Orgasmo.

Nè per la presa negativa, né per quella positiva che il cosmo femminile esercita su di lui, Edoardo ha smesso però di cantare di donne e alle donne, dando prova di quanto questo sia un tema destinato a continuare a svelare, nella musica e non, ancora nuove ed intriganti facce.

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