feste comandate

Feste Comandate | Indie Tales

“Ciao nonno, come stai?”

Gioia, stupore, genuinità, e tanta malinconia. Ma Anita non lo sa ancora. Capirà la forza dirompente di quel gesto quando sarà più grande di oggi. Ma anche oggi è grande e non lo sa. Per me è grandissima, enorme, spaziale.

Anita, non ti conosco. Preso dalla mia piccolissima vita, non sapevo neanche che ci fosse un’anima così radiante a pochi passi da me.

Come faccio a sapere il tuo nome?

Ho dovuto inventarlo per incastonarti tra i miei neuroni confusi.

Anita sta dando a suo nonno tutto l’amore che ha, anche il mio.

Lui trattiene le lacrime a stento con lo sguardo rivolto verso l’alto e il sole beffardo di Aprile in faccia. Sono le Feste Comandate, piangere non è concesso. Nonno, piangi pure quando chiuderai la portiera della macchina. Affoga nelle tue lacrime e promettimi di risorgere.

“Ti ho portato l’uovo di Pasqua, gioia mia”.

Quanto amore c’è dietro quelle due parole. L’amore verso la figlia o il figlio che ha cresciuto, sommato all’amore nato dall’amore del suo amore? Esiste una scala di misura per questo tipo di forze?

No.

Il balcone come unica finestra sul mondo. Ho assistito a un’esplosione atomica. Il suo fragore mi ha immobilizzato.

Una festa comandata anche per me, ma io vorrei insorgere.

Mi sento spiazzato ogni giorno di più dagli occhi di mia madre che mi penetrano il cuore, dalle mani di mio padre che poggiate sul tavolo raccontano anni. Occhi eterni che maneggiano sentimenti e tradizioni ataviche, che mi parlano di storie lontane nel tempo che non ho mai vissuto; eppure le riconosco dentro di me. Mi sento così piccolo.

Ho paura di dimenticarmi. Di non ritrovarmi con me stesso, con voi. Quel giorno in cui tutto sarà ammesso, avrò paura di consumarmi troppo in fretta.

Ho trascorso ore e giorni a gioire nel ricordo di giornate felici e altrettante infauste nella eco incessante di errori, occasioni mancate, intorpidite da un vento freddo che oggi bussa alla mia finestra anche se il sole si fa sempre più vicino in questa stagione.

Aprite quella finestra! Il rumore si sta facendo incessante. Fatelo entrare!

Sono le ore della rinascita. Rinasceremo, non abbiamo scampo alcuno.

Un quesito che non dovrei pormi e che avrei fatto meglio a relegare in me: “Una nuova vita è sinonimo di una vita migliore?”. La mia vita era un’opera d’arte nella sua imperfezione e adesso il museo che la custodiva è chiuso al pubblico.

La polizia sopra la mia testa, i carri armati sotto le luminarie.

Ma che colpa abbiamo noi?

Lo stato ha chiuso l’amore, sigillandolo in un decreto ministeriale. Freccia silente, scoccata nel cielo di troppe notti fa.

Sarò lo stesso?
Ti amerò ancora?
Ti amerò come prima o meglio di prima?

Questo dubbio mi incatena al davanzale, mi cinge la gola sulla ringhiera.

Cuscino di spine, coperta di fuoco.

Tutto quest’amore, sarò sincero, non l’avevo previsto.

Può una luce accecare nel cuore della notte più buia?


Racconto di Salvatore Giannavola liberamente ispirato al brano FESTE COMANDATE di ANTONIO DIMARTINO scritto il 4.4.2020